PatchTest

Il patch test è il classico test di reattività allergica che si effettua applicando la sostanza sospetta sulla cute per alcune ore o giorni. Se l’antigene è in grado di evocare una risposta allergica sulla pelle si osserva la formazione di un ponfo o reazione bollosa da cui viene stimata la gravità dell’allergia. Molte sostanze possono essere verificate con questa semplice procedura, che rappresenta un semplice ed economico sistema di screening. Esiste una “serie odontoiatrica” che contiene molti degli antigeni derivanti dai materiali odontoiatrici.

 

 

Gli antigeni sono utilizzati in una forma predosata per quantità e concentrazione per permettere la standardizzazione dell’esame. Vengono applicati sulla pelle detersa e priva di infiammazioni con un cerotto - contenitore adatto a mantenerli a contatto della cute solitamente per 48 ore. La lettura del risultato diagnostico si effettua generalmente dopo questo intervallo di tempo, al fine di rilevare sia la reazione allergica di tipo I che l’ipersensibilità ritardata di tipo IV. Per alcuni antigeni la risposta può presentarsi anche a 72 ore  ed anche dopo la rimozione dell’antigene dalla pelle.

Allo scadere del tempo di esposizione previsto viene rimosso il cerotto applicatore dell’antigene in esame e viene valutata la risposta allergologica. Il risultato qualitativo è dato dalla presenza o assenza di reazione; in seguito viene valutato un livello di gravità della stessa in base al livello di reattività cutanea secondo i seguente criteri:

 

 

Reazione +++ (Fortissima)

Presenza di infiammazione estesa con ulcerazione o reazione bollosa. Antigene molto rilevante

  

Reazione ++ (Forte)

Marcato arrossamento eritematoso della cute. Antigene nettamente significativo

 

Reazione + (Media)

Arrossamento identificabile della cute. Antigene positivo e reattivo

 

Reazione (Lieve)

Arrossamento poco percettibile o incerto. Antigene dubbio e non confermato

 

Ulcerazione chimica

Artefatto legato ad una azione tossica e caustica del materiale test. Non reazione immune

 

Negativo

Assenza totale di reazione. Cute intatta e priva di modificazioni cromatiche

 

 

 

Rimane da notare che non tutte le reazioni immunologiche implicano una reazione epicutanea, da cui il significato parziale degli esiti negativi di questo test. Il titanio per esempio non può essere testato in maniera attendibile con il patch test.

 

Il Patch Test Serie Odontoiatrica contiene i più comuni antigeni incontrati in odontoiatria, raggruppati concettualmente in 3 grosse categorie:

 

  • I sali metallici più comuni nelle leghe dentali ed il mercurio, specifico dell’amalgama
  • I monomeri, i fotoattivatori e gli inibitori dei materiali polimerici (compositi e resine)
  • Alcuni antigeni tipici dei cementi e delle medicazioni (tipo Eugenolo)

 

L'elenco competo degli antigeni testati normalmente è raggruppato nella seguente tabella mentre il dettaglio di ogni antigene con le sue caratteristiche e provenienza è disponibile qui.

 

Metilmetacrilato

2%

Metil-MA

Trietilenglicoldimetacrilato

2%

TEG-MA

Uretandimetacrilato

2%

UDMA

Etilenglicoldimetacrilato

2%

MEG-MA

BIS-GMA

2%

BIS-GMA

N,N-dimetil-4-toluidina

5%

 

2-Idrossi-4-metossi-benzofenone

2%

 

1,4-butanedioldimetacrilato

2%

 

BIS-MA

2%

 

2 (2-OH-5-metilfenil)-benzotriazolo

2%

 

N.N-Dimetilaminoetilmetacrilato

2%

 

Camforochinone

1%

 

N-etil-4-toluensulfonamide

0,1%

 

4-tolildietanolamina

1%

 

Metilidrochinone

1%

 

Tetraidrofurfuril-2-metacrilato

2%

 

2-Idrossietilmetacrilato

2%

 

1,6-esanedioldiacrilato

0,1%

 

Oro-sodio tiosolfato

0,5%

 

Cobalto cloruro

1%

 

Mercurio

0,5%

 

Potassio bicromato

0,5%

 

Nickel solfato

5%

 

Amalgama

20%

(Lega, no Hg)

Palladio cloruro

2%

 

Alluminio cloruro esaidrato

2%

 

Rame solfato

2%

 

Formaldeide

1%

 

Colofonia

20%

 

Eugenolo

2%

 

 

Statisticamente le sostanze con positivi più ricorrenti sono:

 

  • metilmetacrilato monomerico
  • epossiacrilati (Bis-GMA)
  • idrochinone monobenziletere
  • dimetilparatoluidina,toluensolfonato
  • eugenolo e oli essenziali

 

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Il Test Melisa

 Il test MELISA (Memory Lymphocyte Immuno Stimulation Assey) è attualmente la metodica analitica più sofisticata per la determinazione della reattività immunologica ai metalli. Rileva direttamente la presenza di cellule del sistema immunitario capaci di attivarsi in presenza di tracce del metallo e creare reazioni di ipersensibilità sia locali che sistemiche. Può essere utilizzato per studiare pressoché qualsiasi metallo ed è normalmente impiegato per determinare l’immunocompatibilità individuale ai metalli protesici odontoiatrici ed ai componenti dell’amalgama. 

 

 

 

Cos’è la reattività immunologica di tipo IV

Le reazioni immunitarie sono classificate secondo Gel e Coombs in 4 tipi di versi a seconda del tipo di meccanismo di reazione. La tipica reazione allergica (per esempio ai pollini) è detta reazione di tipo I ed è legata alla presenza di anticorpi di classe IgE capaci di riconoscere la molecola offendente. Quando le IgE reagiscono con l’antigene si libera l’istamina dalle mast cell e si ha una reazione infiammatoria, generalmente localizzata. L’istamina è la molecola attiva nel raffreddore da fieno, nel rash cutaneo, nella reazione alla puntura di zanzara o delle ortiche

La reazione immunologica contro un metallo ha caratteristiche diverse e non passa attraverso la formazione di anticorpi reattivi. Avviene invece attraverso la cosidetta reazione di ipersensibilità ritardata di tipo IV.

In questo caso sono le cellule della serie bianca del sangue a reagire, in particolare i linfociti di classe T. Queste cellule svolgono importanti funzioni nel sistema immunitario e riconoscono antigeni di svariata natura attivando, tramite una famiglia di molecole modulatrici note come citochine, la reazione immunitaria.

Questo meccanismo di azione può causare reazioni locali (tipo arrossamenti, ulcerazioni, pruriti e modificazioni tissutali) ma anche reazioni a distanza. Si ipotizza che la reattività immunologica ai metalli abbia delle correlazioni con l’insorgenza di problematiche autoimmuni a causa dell’attivazione del sistema immunitario contro strutture cellulari modificate proprio dal legame con il metallo.

In pratica tutte le molecole e le strutture proprie del corpo umano hanno un “passaporto immunologico” che permette al sistema immunitario di riconoscerle e discriminarle da intrusi come virus e batteri o da cellule modificate tumorali. I metalli sono in grado di modificare l’aspetto nelle molecole del corpo e renderle estranee per il sistema immunitario, che si attiva tramite le cellule T per eliminare l’intruso non riconosciuto. Questo “fuoco amico” è in grado distruggere quindi cellule e tessuti sani per un errore di riconoscimento.

Molte patologie cronico-degenerative hanno in comune un' alterazione in senso autoimmune del sistema immunitario. Sebbene non sia oggi possibile affermare che queste patologie si risolvano eliminando i metalli reattivi, esistono comunque casi in cui l’eliminazione di una sollecitazione inutile del sistema immunitario giova al quadro clinico complessivo.

Nei casi in cui la patologia dipende invece direttamente dalla reattività immunologica nei confronti di un determinato metallo, l’eliminazione dell’esposizione a quest’ultimo è terapeutica e porta alla scomparsa dei sintomi. Lo studio di queste correlazioni è abbastanza recente ed in continua evoluzione.

 

 

Dove e come si fa il test MELISA?

Il test MELISA viene effettuato da vari laboratori attrezzati per le colture cellulari e le radiomarcature diagnostiche e si realizza a partire da un campione di sangue del paziente, manipolato e trattato per mantenere vitali le cellule della serie bianca. Tali cellule sono separate in laboratorio dal sangue intero, messe in coltura e fatte proliferare. Ogni singolo antigene metallico viene presentato ad una sottocoltura di cellule, in diluizione scalare, e viene misurata la risposta di proliferazione (moltiplicazione) indotta nella popolazione linfocitaria. L'antigene reattivo causa la trasformazione del linfocita in un linfoblasta attivato e la sua successiva espansione clonale.

Sfortunatamente questa metodica diagnostica è poco conosciuta in Italia e i laboratori che la gestiscono sono presenti in nord Europa. E' tuttavia possibile inviare loro un campione di sangue da analizzare, avendo cura di organizzare la spedizione mediante corriere espresso "Next Day", con consegna garantita nelle 24 ore. Il sangue deve essere conservato a temperatura ambiente, in provette contenenti citrato come stabilizzante. I campioni devono arrivare in laboratorio al massimo il giovedì mattina per permettere ai tecnici di prendere in carico il campione e trattarlo finché vitale.

 

 

Il MELISA indica che sono reattivo ad un metallo. Cosa faccio adesso?

Come per qualsiasi reazione di tipo allergica ad una sostanza antigenica occorre ridurre il più possibile l’esposizione, possibilmente eliminandola del tutto. Occorre quindi identificare quali sono le fonti di esposizione ed arginarle. Sono da prendere in considerazione le esposizioni professionali ai metalli (lavorazioni industiali ed artigianali, saldature etc) le fonti di tipo alimentare (tipo le posate e pentole in acciaio per il Nickel, i chewing gum per il Titanio etc) e tutti i metalli che sono in prolungato contatto con il corpo (bigiotteria, gioielli, restauri odontoiatrici, orologi etc)

Nel caso specifico dei metalli ad uso odontoiatrico la loro permanenza continua nel corpo li rende particolarmente rilevanti quali fonte di esposizione. L’eliminazione della fonte normalmente corrisponde con l’allontanamento del restauro stesso dalla bocca e la sostituzione con materiali alternativi inerti, tipicamente polimerici o ceramici.

 

 

Il MELISA ed il PATCH TEST hanno dato risultati diversi. Perché?

Il MELISA è una metodica di misurazione della risposta immunologica molto più sensibile del patch test ed è in grado di rilevare alcune reattività, tipo quelle al titanio, che tipicamente non sono identificabili con i test epicutanei. Può dunque verificarsi che un antigene risultato negativo al patch test sia invece positivo nel MELISA. In questi casi si considera valida la risposta positiva del MELISA.

 

 

Sono sensibile ad un metallo ma non so in quale restauro è

I metalli utilizzati in odontoiatria sono sfortunatamente molteplici e ogni lega metallica nonché ogni produttore contiene un assortimento diverso degli stessi. Alcune leghe tuttavia sono tipiche di un certo tipo di restauro quindi, con qualche approssimazione, si può dire che:

 

 

Amalgama

Mercurio

 

Argento

 

Stagno

 

Rame

 

Zinco

 

(Palladio)

Impianti

Titanio

 

Alluminio

 

Vanadio

Scheletrati

Cromo

 

Cobalto

 

(Nickel)

Ponti e Corone

Oro

 

Palladio

 

Platino

 

Argento

 

(Nickel)

 

Indio

 

Gallio

Ortodonzia

Ferro

 

Nickel

 

Titanio

 

Molibdeno

 

 

Per tutti i lavori odontoiatrici protesici di recente realizzazione esiste una certificzione secondo normativa CE rilasciata dal laboratorio odontotecnico. Tale scheda contempla il nome e il produttore della lega metallica impiegata e la tipologia di materiale da saldatura, da cui si può risalire alla composizione analitica esatta. Per gli impianti esiste una scheda di sicurezza del produttore ed un numero di lotto.

 

 

Ho molti lavori in bocca, non posso smontare tutto..

Questa è una situazione molto frequente: vari restauri metallici in bocca, più di una reattività e limitate possibilità di budget. In questi casi per logica occorre iniziare dal metallo che crea i maggiori problemi, ovvero quello con l’indice di stimolazione più elevato e poi proseguire man mano. Nel caso siano presenti protesizzazioni molto estese e complesse ed in presenza di una reattività medio-bassa è ipotizzabile andare a rimuovere altri metalli più facilemente sostituibili, tipo le otturazioni in amalgama. Questo non elimina la fonte di esposizione in sè ma può contribuire ad abbassare gli effetti elettrogalvanici di corrosione tra metalli diversi che sono un rilevante meccanismo di rilascio di sali metallici ionici.

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Dosaggio Metalli Pesanti

Le metodiche di campionamento, misurazione e dosaggio del mercurio in campioni analitici sono tecniche di laboratorio piuttosto semplici e lineari. Sfortunatamente quando questi criteri sono impiegati nel contesto della valutazioni dell’esposizione, assorbimento ed escrezione del mercurio in organismi biologici la questione viene enormemente complicata dalla farmacocinetica di questa sostanza.

Il mercurio infatti, assieme al piombo, al cadmio e all’arsenico, fa parte dei cosidetti metalli pesanti, cioè un insieme di sostanze che hanno la tendenza ad accumularsi negli organismi viventi per deposito nei tessuti e ad essere eliminati con difficoltà e lentezza. Per questo motivo possono esserci effetti tossici anche per esposizioni piccole ma continuamente ripetute nel tempo, per effetto sommatorio.

 

 

Da un punto di vista diagnostico ed analitico la tendenza al legame con i tessuti implica tutta una serie di conseguenze pratiche rilevanti: il mercurio si muove nel corpo da un tessuto all'altro e trova sedi in cui viene sequestrato ed accumulato. Spesso è scarsamente eliminato nelle urine e nelle feci.

L’unico dosaggio realmente preciso accurato e significativo per il mercurio derivato dall’amalgama è quello effettuato direttamente sui tessuti, sede di accumolo dello stesso. Questo è particolamente vero per il tessuto nervoso.

Chiaramente questa via è difficilmente praticabile in vivo e quindi non può essere utilizzata per studiare il livello di intossicazione del singolo paziente. Esiste una notevole mole di dati sperimentali relativi all’accumulo del mercurio dall’amalgama, sia nei pazienti che nei dentisti e negli anni sono stati condotti numerosi studi autoptici per definire il comportamento di questo metallo nei tessuti (Vedi biblioteca scientifica).

Tutti gli altri punti di misurazione (Sangue, Urina, Feci, Capello, Saliva...) del mercurio nella vita biologica dell’individuo sono viziati da distorsioni ed effetti paradosso e forniscono indicazioni parziali ed indirette dello stato d'intossicazione del soggetto.

 

NEL SANGUE

Il mercurio che esce e viene assorbito dalle otturazioni in amalgama è in forma metallica non ionizzata, cioé Hg0. In queste condizioni la sua diffusibilità è altissima così come lo è la sua lipofilia (compatibilità / solubilità nei grassi). Il passaggio alla forma ionica avviene solo all’interno di cellule e quindi non nel torrente ematico. Ne consegue che il mercurio dell'amalgama permane nel sangue solo per pochi minuti, massimo qualche ora e poi ‘sparisce’ verso i tessuti.

Misurando il mercurio presente nel sangue i valori sono sempre molto bassi. Dalle otturazioni in amalgama si assorbono mediamente 10 ug di mercurio al giorno. Questa dose é dispersa e frazionata sulle 24h e su 5 litri di sangue, il quale tende a distribuirlo ai tessuti. Il mercurio rilevabile nel torrente ematico è il metilmercurio, la forma organica tipicamente assorbita dall’alimentazione e dotata di un'emivita plasmatica di circa 15 giorni. Molti studi ‘scientifici’ hanno sostenuto che non esiste intossicazione dalle otturazioni in amalgama perché non si riscontra mercurio nel sangue e che anzi, l’unica fonte rilevante di mercurio è il pesce. Tali conclusioni sono frutto di un errore metodologico.

 

NELLE URINE

Il mercurio è rilevabile nelle urine ma la sua velocità di escrezione non è necessariamente in correlazione né con la quantità assorbita (esposizione) né con la quantità totale depositata nei tessuti. La capacità escretiva varia da persona a persona ed il rene elimina solo il 20% del mercurio espulso dal corpo. La misurazione della concentrazione di mercurio nelle urine richiede sempre e comunque che venga standardizzata la concentrazione di soluti, altrimenti basterebbe una grossa bevuta d’acqua per diluire tutto a livelli minimi. Esistono casi in cui esiste una considerevole esposizione ma una bassa escrezione: se il mercurio entra ma non esce significa che si sta accumulando e che il carico tossico cresce. In questi casi trovare una bassa concentrazione di mercurio nelle urine è cosa negativa, non positiva.

Un test interessante sulle urine è il cosidetto challenge test’ o test di provocazione. In questo caso viene misurata la concentrazione di mercurio nell’urina prima e dopo l’assunzione di un chelante chimico (DMPS), che aumenta il trasposto e la solubilità del mercurio tissutale. Il picco di mercurio escreto deriva dal mercurio depositato nei tessuti e può fornire qualche informazione indiretta sull’entità presente. Questo genere di test diventa interessante se si desidera monitorare nel tempo il processo di detossificazione dal metallo pesante, andando a paragonare il differenziale tra livello basale e livello stimolato nel tempo. In seguito ad una significativa diminuzione del mercurio depositato ci si attende di trovare una differenza tra i due valori più limitata rispetto al test eseguito prima della terapia. L’esito, dunque, non deve essere considerato in quanto valore assoluto ma sempre per confronto. Il challenge test implica normalmente l'assunzione di una quantità abbastanza elevata di chelante e può essere causa di effetti avversi dovuti alla rapida mobilizzazione della sostanza tossica.

I test urinari fai-da-te per i metalli (kit pronti con viraggio cromatico) sono basati sulla formazione di diazo-composti colorati con gli ioni dei diversi metalli. Dal colore della soluzione si evince il metallo presente. Possono essere impiegati per qualsiasi liquido. Sfortunatamente sono dei test discretamente sensibili per vari metalli ma molto poco per il mercurio. Le quantità necessarie perché il test urinario sia positivo con il mercurio sono irrealisticamente alte ed improbabili (si spera!) nell’esposizione all’amalgama. L’altro limite della metodica è che se sono presenti più metalli i colori si sommano, rendendo difficile l’interpretazione. Per contro sono metodiche economiche e ragionalmente valide per altri metalli. Poco attendibile la diagnosi inferenziale di intossicazione da mercurio per elevata escrezione di zinco o rame.

 

NEL CAPELLO E NELL'UNGHIA

Dosare i metalli pesanti nel capello o nelle unghie presenta numerosi vantaggi pratici e metodologici. Gli annessi cutanei derivano dai tessuti e presentano concentrazioni dei metalli simili ai tessuti di origine. Il loro prelievo è semplice, ripetibile e non invasivo. La loro crescita lenta permette una lettura di un parametro già di per sè relativo ad un periodo medio-lungo e non momentaneo.

L’analisi dei metalli-traccia nel capello, nota anche con il termine commerciale di mineralogramma, misura la concentrazione di metalli o altre sostanze appartenenti alla categoria degli oligoelementi e delle sostanze tossiche nella cheratina del capello.

 

 

Il capello istologicamente è un annesso cutaneo e condivide durante la sua crescita lo stesso ambiente extracellulare del tessuto che lo genera. In esso quindi si depositano, con concentrazioni spesso simili, gli oligoelementi e le tossine presenti nella matrice extracellulare. Questo lo rende un ottimo testimone tossicologico di ciò che avviene nell’organismo; inoltre il capello ha il grande vantaggio di avere una crescita progressiva e quindi di stratificare sulla lunghezza le variazioni di un determinato arco temporale. Queste caratteristiche, unite alla estrema semplicità di prelievo, alla non invasività ad alla ripetibilità rendono questa metodica di dosaggio particolarmente versatile ed utile.

 

 

Sfortunatamente il particolare pattern metabolico del mercurio tende a creare delle difficoltà anche con questa metodica di misurazione. Il mercurio che si accumula in modo prevedibile nel capello è infatti quello organico, cioé il metil mercurio (oppure anche l’etil e fenil mercurio). Questa specie di mercurio, come già detto, è tipicamente presente nel pesce ed è rappresentativo dell'intossicazione per via alimentare. Il mercurio inorganico, ionico e metallico, può in alcuni casi non essere rilevabile a livello del capello.

Utilizzando la stessa metodica analitica, chimicamente nota come Spettrometria di Massa (ICP-MS), è possibile avere anche una lettura degli oligoelementi nutrizionali presenti a livello del capello e quindi fare delle valutazione circa l’equilibrio esistente tra sostanze tossiche e minerali protettivi.

 

 

Nel caso del mercurio sono interessanti anche i rapporti con i cosidetti oligoelementi protettivi quali lo zinco, il magnesio e il selenio.

 

 

L’analisi del capello sfortunatamente soffre molto della contaminazione di superficie del capello stesso: per questo motivo i risultati sono inattendibili se esiste un'esposizione professionale al mercurio per via ambientale. Questo è il caso tipico dei dentisti, che oltre ad avere un'esposizione professionale respiratoria hanno anche una contaminazione di superficie del capello.

La quantità di capelli prelevata è ormai ridotta, grazie all'elevata sensibilità della metodica, a circa 0,4 grammi. Generalmente si effettua il prelievo tagliando nella regione della nuca 3-4 piccolissime ciocche.

 

NELLA SALIVA

La misurazione del mercurio disperso nella saliva è un indice di scarso valore clinico ma molto interessante per documentare in modo incontrovertibile che le otturazioni in amalgama rilasciano mercurio. Occorre comunque ricordare che la modalità principale di rilascio del mercurio dall’otturazione è per evaporazione e che la via di assorbimento è tipicamente quella polmonare e non quella intestinale (dove transitano la saliva ed il cibo contaminato dal mercurio). Esistono inoltre precisi studi che correlano la superficie di otturazione in amalgama esposta alla quantità di mercurio rilasciato; è quindi possibile stimare il livello d'esposizione direttamente dall'area di metallo visibile.

Il dosaggio del mercurio nella saliva misura la quantità totale di mercurio disciolto o trasportato dalla saliva, generalmente dopo una prova di stimolazione delle otturazione fatte masticando un chewing gum o della paraffina. Il mercurio rilevato è un insieme del mercurio metallico superficializzato sull’otturazione e disperso nella saliva, dei prodotti di corrosione dell’amalgama presenti in soluzione e di eventuale particolato solido disgregato dall’otturazione in amalgama per abrasione della superficie.

Il valore misurato è molto preciso e ripetibile ma di scarso significato clinico. Poiché la dispersione di mercurio della saliva è funzione pressoché lineare della superficie totale di amalgama esposta ovvero, in approssimazione, del numero di amalgame, è molto più semplice ed economico desumere un probabile valore da una semplice osservazione clinica. Occorre comunque ricordare che la modalità principale di rilascio del mercurio dall’otturazione avviene per evaporazione e che la via di assorbimento è tipicamente quella polmonare e non quella intestinale. La quantità presente nell’aria intraorale è molto più signficativa in termini di esposizione ed assorbimento rispetto alla quantità disciolta nella saliva. Il principale significato del test salivare risiede nella possibilità di avere un risultato analitico certificato della presenza di mercurio, ad uso di pazienti, medici o dentisti scettici.

 

NELLE FECI

La principale via di eliminzione del mercurio dall’organismo è tramite il fegato e quindi per immissione nell’intestino e nelle feci. Esistono specifici passaggi metabolici che dipendono da vari trasportatori ed in particolare dal meccanismo di detossificazione epatica legata al glutatione. Il mercurio viene quindi escreto nella bile ed è riscontrabile a livello delle feci. Come per la misurazione del mercurio urinario la quantità rilevata dipende anche dalla capacità dell’organismo di espellerlo e non solo da parametri di esposizione.

L’eliminazione del mercurio avviene nella misura di circa l’80% attrverso il fegato che, tramite coniugazione con il glutatione, espelle questa sostanza nella bile e quindi poi nell’intestino. Risulta quindi logico che il punto dove meglio si intercetta in uscita il mercurio eliminato dall’organismo sia a livello intestinale, tramite la misurazione di mercurio contenuto nelle feci. Come per la via enale / urinaria vale il concetto che il mercurio, per via della sua natura di metallo pesante, in realtà tende all’accumulo nei tessuti più che all’eliminazione. Anche nel caso del dosaggio fecale questo non è in grado di fornire indicazioni certe circa il livello di esposizione o la quantità totale depositata nei tessuti ma solo, per l’appunto, della quantità escreta in quel momento.

Da un punto di vista di laboratorio è possibile differenziare il mercurio metallico (derivante dall’ingestione di materiale di usura delle otturazioni) dal mercurio ionico (prodotto dal metabolismo del mercurio assorbito per via respirtoria dalle otturazioni) dal metilmercurio (tipicamente alimentare, dal pesce). Quest’ultimo può essere mercurio in uscita dal fegato oppure in transito con il contenuto alimentare, specie se il paziente ha consumato pesce nella giornata precedente il dosaggio.

Così come per le urine il valore assoluto della concentrazione dovrebbe essere sempre rapportato al livello di concentrazione dell’urina stessa, per il dosaggio fecale bisognerebbe fare riferimento alla massa totale. Alcuni fattori di disturbo nella misurazione sono costituiti dal volume totale, dalla presenza di alimenti sequestranti il mercurio e dalla presenza di cibi già di loro contenenti il metallo.

La quantità di mercurio escreta dal fegato non corrisponde con la quantità totale contenuta nelle feci: infatti il mercurio subisce fenomeni di riassorbimento a livello intestinale e di cosidetto ‘ricircolo entero epatico’. Questo fenomeno è anche in correlazione con il livello di permeabilità della mucosa intestinale e peggiora nella ‘leaky gut syndrome’, ovvero quando esiste un quadro di infiammazione della parete intestinale associato a disbiosi.